Conoscete la Moody’s Corporation? É una società privata newyorkese che si occupa di ricerche finanziarie e analisi sulle attività di imprese commerciali e statali. Negli ultimi mesi, questa agenzia ha analizzato anche la situazione italiana. Siete curiosi di conoscere gli esiti di tali indagini?
Dopo la caduta del governo Renzi, il rating italiano secondo Moody’s corrisponde al livello Baa2. Cosa significa? L’Italia si colloca appena due gradini sopra la soglia d’allarme, dove sono confinati i cosiddetti titoli junk. In altre parole, il livello Baa2 corrisponde ad una qualità media ed è indice di qualche elemento speculativo e rischio d’insolvenza medio. Bene ma non benissimo.
L’Italia, che già a metà gennaio aveva subito il declassamento di Dbrs dalla A- alla BBB+, resta ancora all’interno della categoria protetta degli investment grade. Ciò sta a significare che il debito è considerato piuttosto affidabile.
Ma la situazione potrebbe peggiorare se le agenzie di rating facessero scivolare l’Italia sotto questa soglia di guardia, classificandola tra gli investimenti speculativi. Il che sarebbe rischioso, in quanto comporterebbe un ingente aumento delle vendite da parte di quegli investitori, che per delle clausole di policy interna non possono tenere in portafoglio titoli classificati sotto la categoria investment grade.
Per capire meglio i criteri valutativi adottati durante tali indagini, vi riportiamo qui una tabella evidenziante i notch, ossia i gradini di giudizio utilizzati dalle tre agenzie di valutazione del credito (Moody’s, S&Poor’s e Fitch) per analizzare i debiti pubblici e privati.
Come è possibile notare, ogni agenzia classifica in modo differente l’Italia.
La più critica è la S&Poor’s, che classifica il nostro Paese nella categoria BBB-, ad un solo notch dalla categoria junk di Speculative Grade.
Moody’s, come già detto, considera l’Italia un paese Baa2, due gradini sopra la categoria junk.
Fitch, invece, è l’agenzia più ottimista, che inserisce l’Italia nella categoria BBB+, individuando buone capacità di far fronte agli impegni di breve periodo.
L’Italia, insomma, non è tra le migliori ma non è nemmeno tra le più allarmanti.
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